Proviamo a capire insieme che cos’è la confessione: se lo capisci veramente,
con la mente e col cuore, sentirai il bisogno e la gioia di fare esperienza
di questo incontro, in cui Dio, donandoti il Suo perdono attraverso
il ministro della Chiesa, crea in Te un cuore nuovo, mette in te uno
Spirito nuovo, perché Tu possa vivere un’esistenza riconciliata con
Lui, con Te stesso e con gli altri, divenendo a tua volta capace di
perdono e di amore al di là di ogni tentazione di sfiducia e di ogni
misura di stanchezza.
1. Perché confessarsi?
Fra le domande che vengono poste al mio cuore di Vescovo, ne scelgo
una che mi è stata fatta spesso: perché bisogna confessarsi? È una domanda
che ritorna in molteplici forme: perché si deve andare da un sacerdote
a dire i propri peccati e non lo si può fare direttamente con Dio, che
ci conosce e comprende molto meglio di qualunque interlocutore umano?
E, ancora più radicalmente: perché parlare delle mie cose, specie di
quelle di cui ho vergogna perfino con me stesso, a qualcuno che è peccatore
come me, e che forse valuta in modo completamente diverso dal mio ciò
di cui ho fatto esperienza o non lo capisce affatto? Che ne sa lui di
che cosa è veramente peccato per me? Qualcuno aggiunge: e poi, esiste
veramente il peccato, o è solo un’invenzione dei preti per tenerci buoni?
A quest’ultima domanda sento di poter rispondere subito e senza timore
di smentita: il peccato c’è, e non solo è male, ma fa male. Basta guardare
la scena quotidiana del mondo, dove violenze, guerre, ingiustizie, sopraffazioni,
egoismi, gelosie e vendette si sprecano (un esempio di questo “bollettino
di guerra” ce lo danno ogni giorno le notizie su giornali, radio, televisione
e internet!). Chi crede nell’amore di Dio, poi, percepisce come il peccato
sia amore ripiegato su se stesso (“amor curvus”, “amore curvo”, dicevano
i Medioevali), ingratitudine di chi risponde all’amore con l’indifferenza
e il rifiuto. Questo rifiuto ha conseguenze non solo su chi lo vive,
ma anche sulla società tutta intera, fino a produrre dei condizionamenti
e degli intrecci di egoismi e di violenze che costituiscono delle vere
e proprie “strutture di peccato” (si pensi alle ingiustizie sociali,
alla sperequazione fra paesi ricchi e paesi poveri, allo scandalo della
fame nel mondo…). Proprio per questo non si deve esitare a sottolineare
quanto sia grande la tragedia del peccato e quanto la perdita del senso
del peccato - ben diverso da quella malattia dell’anima che chiamiamo
“senso di colpa” - indebolisca il cuore davanti allo spettacolo del
male e alle seduzioni di Satana, l’Avversario che cerca di separarci
da Dio.
2. L’esperienza del perdono
Nonostante tutto, però, non mi sento di dire che il mondo è cattivo
e che fare il bene è inutile. Sono, anzi, convinto che il bene c’è ed
è molto più grande del male, che la vita è bella e che vivere rettamente,
per amore e con amore, vale veramente la pena. La ragione profonda che
mi fa pensare così è l’esperienza della misericordia di Dio, che faccio
in me stesso e che vedo risplendere in tante persone umili: è un’esperienza
che ho vissuto tante volte, sia dando il perdono come ministro della
Chiesa, sia ricevendolo. Sono anni che mi confesso regolarmente, più
volte al mese e con la gioia di farlo. La gioia nasce dal sentirmi amato
in modo nuovo da Dio ogni volta che il Suo perdono mi raggiunge attraverso
il sacerdote che me lo dà in Suo nome. È la gioia che ho visto tanto
spesso sul volto di chi veniva a confessarsi: non il futile senso di
leggerezza di chi “ha vuotato il sacco” (la confessione non è uno sfogo
psicologico né un incontro consolatorio, o non lo è principalmente),
ma la pace di sentirsi bene “dentro”, toccati nel cuore da un amore
che sana, che viene dall’alto e ci trasforma. Chiedere con convinzione,
ricevere con gratitudine e dare con generosità il perdono è sorgente
di una pace impagabile: perciò, è giusto ed è bello confessarsi. Vorrei
far partecipi delle ragioni di questa gioia tutti coloro che riuscirò
a raggiungere con questa lettera.
3. Confessarsi da un sacerdote?
Mi chiedi dunque: perché bisogna confessare a un sacerdote i propri
peccati e non lo si può fare direttamente a Dio? Certamente, è sempre
a Dio che ci si rivolge quando si confessano i propri peccati. Che sia,
però, necessario farlo anche davanti a un sacerdote ce lo fa capire
Dio stesso: scegliendo di inviare Suo Figlio nella nostra carne, egli
dimostra di volerci incontrare mediante un contatto diretto, che passa
attraverso i segni e i linguaggi della nostra condizione umana. Come
Lui è uscito da sé per amore nostro ed è venuto a “toccarci” con la
sua carne, così noi siamo chiamati ad uscire da noi stessi per amore
Suo e andare con umiltà e fede da chi può darci il perdono in nome Suo
con la parola e col gesto. Solo l’assoluzione dei peccati che il sacerdote
ti dà nel sacramento può comunicarti la certezza interiore di essere
stato veramente perdonato e accolto dal Padre che è nei cieli, perché
Cristo ha affidato al ministero della Chiesa il potere di legare e sciogliere,
di escludere e di ammettere nella comunità dell’alleanza (cf. Mt 18,17).
È Lui che, risorto dalla morte, ha detto agli Apostoli: “Ricevete lo
Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non
li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,22s). Perciò, confessarsi
da un sacerdote è tutt’altra cosa che farlo nel segreto del cuore, esposto
alle tante insicurezze e ambiguità che riempiono la vita e la storia.
Da solo non saprai mai veramente se a toccarti è stata la grazia di
Dio o la tua emozione, se a perdonarti sei stato tu o è stato Lui per
la via che Lui ha scelto. Assolto da chi il Signore ha scelto e inviato
come ministro del perdono, potrai sperimentare la libertà che solo Dio
dona e capirai perché confessarsi è fonte di pace.
4. Un Dio vicino alla nostra debolezza
La confessione è dunque l’incontro col perdono divino, offertoci in
Gesù e trasmessoci mediante il ministero della Chiesa. In questo segno
efficace della grazia, appuntamento con la misericordia senza fine,
ci viene offerto il volto di un Dio che conosce come nessuno la nostra
condizione umana e le si fa vicino con tenerissimo amore. Ce lo dimostrano
innumerevoli episodi della vita di Gesù, dall’incontro con la Samaritana
alla guarigione del paralitico, dal perdono all’adultera alle lacrime
di fronte alla morte dell’amico Lazzaro… Di questa vicinanza tenera
e compassionevole di Dio abbiamo immenso bisogno, come dimostra anche
un semplice sguardo alla nostra esistenza: ognuno di noi convive con
la propria debolezza, attraversa l’infermità, si affaccia alla morte,
avverte la sfida delle domande che tutto questo accende nel cuore. Per
quanto, poi, possiamo desiderare di fare il bene, la fragilità che ci
caratterizza tutti ci espone continuamente al rischio di cadere nella
tentazione. L’Apostolo Paolo ha descritto con precisione questa esperienza:
“C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti
io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rom 7,18s).
È il conflitto interiore da cui nasce l’invocazione: “Chi mi libererà
da questo corpo votato alla morte?” (Rom 7, 24). Ad essa risponde in
modo particolare il sacramento del perdono, che viene a soccorrerci
sempre di nuovo nella nostra condizione di peccato, raggiungendoci con
la potenza sanante della grazia divina e trasformando il nostro cuore
e i comportamenti in cui ci esprimiamo. Perciò, la Chiesa non si stanca
di proporci la grazia di questo sacramento durante l’intero cammino
della nostra vita: attraverso di essa è Gesù, vero medico celeste, che
viene a farsi carico dei nostri peccati e ad accompagnarci, continuando
la sua opera di guarigione e di salvezza. Come accade per ogni storia
d’amore, anche l’alleanza col Signore va rinnovata senza sosta: la fedeltà
è l’impegno sempre nuovo del cuore che si dona e accoglie l’amore che
gli viene donato, fino al giorno in cui Dio sarà tutto in tutti.
5. Le tappe dell’incontro col perdono
Proprio perché desiderato da un Dio profondamente “umano”, l’incontro
con la misericordia offertaci da Gesù avviene attraverso varie tappe,
che rispettano i tempi della vita e del cuore. All’inizio c’è l’ascolto
della buona novella, in cui ti raggiunge l’appello dell’Amato: “Il tempo
è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”
(Mc 1,15). Attraverso questa voce è lo Spirito Santo ad agire in te,
dandoti dolcezza nel consentire e credere alla Verità. Quando ti rendi
docile a questa voce e decidi di rispondere con tutto il cuore a Colui
che ti chiama, intraprendi il cammino che ti porta al dono più grande,
quel dono tanto prezioso da far dire a Paolo: “Vi supplichiamo in nome
di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5,20). La riconciliazione
è appunto il sacramento dell’incontro con Cristo, che attraverso il
ministero della Chiesa viene a soccorrere la debolezza di chi ha tradito
o rifiutato l’alleanza con Dio, lo riconcilia col Padre e con la Chiesa,
lo ricrea come creatura nuova nella forza dello Spirito Santo. Questo
sacramento è chiamato anche della penitenza, perché in esso si esprime
la conversione dell’uomo, il cammino del cuore che si pente e viene
ad invocare il perdono di Dio. Il termine confessione – usato comunemente
– si riferisce invece all’atto di confessare le proprie colpe davanti
al sacerdote, ma richiama anche la triplice confessione da fare per
vivere in pienezza la celebrazione della riconciliazione: la confessione
di lode (“confessio laudis”), con cui facciamo memoria dell’amore divino
che ci precede e ci accompagna, riconoscendone i segni nella nostra
vita e comprendendo meglio in tal modo la gravità della nostra colpa;
la confessione del peccato, con la quale presentiamo al Padre il nostro
cuore umile e pentito riconoscendo i nostri peccati (“confessio peccati”);
la confessione di fede, infine, con cui ci apriamo al perdono che libera
e salva, offertoci con l’assoluzione (“confessio fidei”). A loro volta,
i gesti e le parole in cui esprimeremo il dono che abbiamo ricevuto
confesseranno nella vita le meraviglie operate in noi dalla misericordia
di Dio.
6. La festa dell’incontro
Nella storia della Chiesa la penitenza è stata vissuta in una grande
varietà di forme, comunitarie e individuali, che hanno però tutte mantenuto
la struttura fondamentale dell’incontro personale fra il peccatore pentito
e il Dio vivente attraverso la mediazione del ministero del vescovo
o del sacerdote. Attraverso le parole dell’assoluzione, pronunciate
da un uomo peccatore, che però è stato scelto e consacrato per il ministero,
è Cristo stesso che accoglie il peccatore pentito e lo riconcilia col
Padre e nel dono dello Spirito Santo lo rinnova come membro vivo della
Chiesa. Riconciliati con Dio, veniamo accolti nella comunione vivificante
della Trinità e riceviamo in noi la vita nuova della grazia, l’amore
che solo Dio può effondere nei nostri cuori: il sacramento del perdono
rinnova, così, il nostro rapporto col Padre, col Figlio e con lo Spirito
Santo, nel cui nome ci è data l’assoluzione delle colpe. Come mostra
la parabola del Padre e dei due figli, l’incontro della riconciliazione
culmina in un banchetto di vivande saporite, cui si partecipa col vestito
nuovo, l’anello e i calzari ai piedi (cf. Lc 15,22s): immagini che esprimono
tutte la gioia e la bellezza del dono offerto e ricevuto. Veramente,
per usare le parole del Padre della parabola, “bisogna far festa e rallegrarsi,
perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto
ed è stato ritrovato” (Lc 15,24). Come è bello pensare che quel figlio
può essere ognuno di noi!
7. Il ritorno alla casa del Padre
In rapporto a Dio Padre la penitenza si presenta come un “ritorno a
casa” (questo è propriamente il senso della parola “teshuvà”, che l’ebraico
usa per dire “conversione”). Attraverso la presa di coscienza delle
tue colpe, ti accorgi di essere in esilio, lontano dalla patria dell’amore:
avverti disagio, dolore, perché capisci che la colpa è una rottura dell’alleanza
col Signore, un rifiuto del Suo amore, è “amore non amato”, e proprio
così è anche sorgente di alienazione, perché il peccato ci sradica dalla
nostra vera dimora, il cuore del Padre. È allora che occorre ricordarci
della casa dove siamo attesi: senza questa memoria dell’amore non potremmo
mai avere la fiducia e la speranza necessarie a prendere la decisione
di tornare a Dio. Con l’umiltà di chi sa di non essere degno di venir
chiamato “figlio”, possiamo deciderci di andare a bussare alla porta
della casa del Padre: quale sorpresa scoprire che lui è alla finestra
a scrutare l’orizzonte, perché aspetta da tanto il nostro ritorno! Alle
nostre mani aperte, al cuore umile e pentito risponde la gratuita offerta
del perdono, con cui il Padre ci riconcilia con sé, “convertendosi”
in qualche modo a noi: “Quando era ancora lontano il padre lo vide e
commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (Lc 15,20).
Con straordinaria tenerezza Dio ci introduce in modo rinnovato nella
condizione di figli, offerta dall’alleanza stabilita in Gesù.
8. L’incontro con Cristo, morto e risorto per noi
In rapporto al Figlio il sacramento della riconciliazione ci offre
la gioia dell’incontro con Lui, il Signore crocifisso e risorto, che
attraverso la Sua Pasqua ci dona la vita nuova infondendo il Suo Spirito
nei nostri cuori. Questo incontro si compie attraverso l’itinerario
che porta ognuno di noi a confessare le nostre colpe con umiltà e dolore
dei peccati e a ricevere con gratitudine piena di stupore il perdono.
Uniti a Gesù nella Sua morte di Croce, moriamo al peccato e all’uomo
vecchio che in esso ha trionfato. Il Suo sangue sparso per noi ci riconcilia
con Dio e con gli altri, abbattendo il muro dell’inimicizia che ci teneva
prigionieri della nostra solitudine senza speranza e senza amore. La
forza della Sua resurrezione ci raggiunge e trasforma: il Risorto ci
tocca il cuore, lo fa ardere in noi di una fede nuova, che schiude i
nostri occhi e ci rende capaci di riconoscere Lui accanto a noi e la
Sua voce in chi ha bisogno di noi. Tutta la nostra esistenza di peccatori,
unita a Cristo crocifisso e risorto, si offre alla misericordia di Dio
per essere sanata dall’angoscia, liberata dal peso della colpa, confermata
nei doni di Dio e rinnovata nella potenza del Suo amore vittorioso.
Liberati dal Signore Gesù, siamo chiamati a vivere come Lui nella libertà
dalla paura, dalla colpa e dalle seduzioni del male, per compiere opere
di verità, di giustizia e di pace.
9. La vita nuova nello Spirito
Grazie al dono dello Spirito che effonde in noi l’amore di Dio (cf.
Rm 5,5), il sacramento della riconciliazione è sorgente di vita nuova,
comunione rinnovata con Dio e con la Chiesa, di cui proprio lo Spirito
è l’anima e la forza di coesione. È lo Spirito a spingere il peccatore
perdonato a esprimere nella vita la pace ricevuta, accettando anzitutto
le conseguenze della colpa commessa, e cioè la cosiddetta “pena”, che
è come l’effetto della malattia rappresentata dal peccato e va considerata
come una ferita da sanare con l’olio della grazia e la pazienza dell’amore
da avere verso noi stessi. Lo Spirito, poi, ci aiuta a maturare il proposito
fermo di vivere un cammino di conversione fatto di impegni concreti
di carità e di preghiera: il segno penitenziale richiesto dal confessore
serve appunto ad esprimere questa scelta. La vita nuova, a cui così
rinasciamo, può dimostrare più di ogni altra cosa la bellezza e la forza
del perdono sempre di nuovo invocato e ricevuto (“perdono” vuol dire
appunto dono rinnovato: perdonare è donare all’infinito!). Ti chiedo,
allora: perché fare a meno di un dono così grande? Accostati alla confessione
con cuore umile e contrito e vivila con fede: ti cambierà la vita e
darà pace al tuo cuore. Allora, i tuoi occhi si apriranno per riconoscere
i segni della bellezza di Dio presenti nel creato e nella storia e ti
sgorgherà dall’anima il canto della lode. Ed anche a te, sacerdote che
mi leggi e come me sei ministro del perdono, vorrei rivolgere un invito
che mi nasce dal cuore: sii sempre pronto – a tempo e fuori tempo –
ad annunciare a tutti la misericordia e a dare a chi te lo chiede il
perdono di cui ha bisogno per vivere e per morire. Per quella persona
potrebbe trattarsi dell’ora di Dio nella sua vita!
10. Lasciamoci riconciliare con Dio!
L’invito dell’Apostolo Paolo diventa, così, anche il mio: lo esprimo
servendomi di due voci diverse. La prima è quella di Friedrich Nietzsche,
che negli anni della giovinezza scrive queste parole appassionate, segno
del bisogno della misericordia divina che tutti ci portiamo dentro:
“Ancora una volta, prima di partire e volgere i miei sguardi verso l’alto,
rimasto solo, levo le mie mani a Te, presso cui mi rifugio, cui dal
profondo del cuore ho consacrato altari, affinché ogni ora la voce Tua
mi torni a chiamare… ConoscerTi io voglio, Te, l’Ignoto, che a fondo
mi penetri nell’anima e come tempesta squassi la mia vita, inafferrabile
eppure a me affine! ConoscerTi, io voglio, e anche servirTi” (Scritti
giovanili, I, 1, Milano 1998, 388). L’altra voce è quella attribuita
a Francesco d’Assisi, che esprime la verità di una vita rinnovata dalla
grazia del perdono: “Signore, fa’ di me uno strumento della Tua pace.
Dove è odio, che io porti l’amore. Dov’è offesa, che io porti il perdono.
Dov’è discordia, che io porti l’unione. Dov’è errore, che io porti la
verità. Dov’è dubbio, che io porti la fede. Dov’è disperazione, che
io porti la speranza. Dove sono tenebre, che io porti la luce. Dov’è
tristezza, che io porti la gioia. Maestro, fa’ che io non cerchi tanto
di essere consolato quanto di consolare, di essere compreso quanto di
comprendere, di essere amato quanto di amare”. Sono questi i frutti
della riconciliazione, invocata ed accolta da Dio, che auguro a tutti
Voi che mi leggete. Con questo augurio, che diventa preghiera, Vi abbraccio
e benedico uno per uno
+ Bruno Forte